L’ADIGE E LA FLUITAZIONE DEL LEGNAME

Almeno fino al XVI secolo il commercio del legname rappresentò per Verona il traffico preponderante sul fiume, affidato alla corporazione specializzata dei radaroli/zattieri.

La materia prima, in questo caso proveniente dagli amplissimi boschi della regione trentino-tirolese, andava ad alimentare oltre che i bisogni edilizi della città anche quelli di Ferrara e di Venezia, raggiungibili grazie alla rete fluviale che dall’Adige si snodava nel Po.

Da tempo immemore la costruzione delle zattere seguiva tecniche consolidate da un lungo rapporto di frequentazione quotidiana con il fiume, dovendo inevitabilmente tener conto delle sue insidie e delle difficoltà di navigazione provocate spesso dal fondo disomogeneo, dalla corrente più o meno vorticosa a seconda dei diversi periodi dell’anno o dalle molte anse del corso del fiume.

Le zattere avevano la forma tradizionale di un parallelepipedo di circa 20 metri di lunghezza per 5/7 metri di larghezza: mentre la loro altezza, costruita grazie a strati di tronchi (anche di differente spessore) sovrapposti gli uni agli altri perpendicolarmente, era variabile a seconda del periodo di piena o di magra del fiume.

I tronchi che venivano posti in acqua non venivano scortecciati per garantire una minima protezione: erano legati l’uno con l’altro mediante lunghi e robusti legacci di vimini, capaci di tenere saldamente unito il legname durante la fluitazione e altrettanto facili da sciogliere una volta che il carico fosse giunto a Verona.

I tronchi che costituivano il primo ‘piano’ della zattera erano disposti uno dopo l’altro in alternanza della testa con la coda. A questo primo strato ne veniva sovrapposto un secondo composto invece da travetti di legno, sempre legati con corde di vimini, a sua volta seguito da un terzo strato di tronchi e così via a seconda dell’altezza che si voleva dare alla zattera.