I MULINI SULL’ADIGE

Uno degli aspetti più caratteristici del paesaggio atesino e delle sue rive - dal Medioevo alla metà al primo Novecento - è legato alla capillare presenza di decine di mulini natanti, utilizzati per la molitura dalle comunità contermini al fiume. Da Verona a Legnago e più in giù fino a Badia Polesine, i mulini dell’Adige costituivano nel passato uno dei tratti inconfondibili del fiume e della sua vita quotidiana, indagati a lungo da Dino Coltro nel corso delle sue ricerche etnografiche culminate nel volume ‘L’Adige. Arti e mestieri sul fiume’ pubblicato nel 1989.

Nella sua forma più tipica il mulino natante era composto da tre barche affiancate: due più vicine tra loro ospitavano la ‘casa’ del mugnaio e le strutture molitorie, la terza era invece più distanziata. La ruota (roa) che sfruttava la corrente del fiume per azionare le macine era fissata nello spazio che intercorreva tra le prime due e l’ultima barca (nel gergo dei mulinari, denominati sandoni).

Ancorati alle rive dell’Adige, i mulini erano raggiungibili da terra attraverso una lunga passerella (peagna). Molte volte durante le piene impetuose e violente del fiume, la forza della corrente e i grossi tronchi trasportati (o le lastre di ghiaccio durante l’inverno) potevano danneggiare seriamente le strutture in legno se i mulinari non fossero intervenuti in tempo con lunghe pertiche di legno e particolari fiocine a proteggere i mulini.