I BURCHI DELL'ADIGE

L’equipaggio tradizionale di un burchio era costituito tra tre marinai: il parón dell’imbarcazione, il barcaròlo inserviente e un garzone/apprendista che in genere era il figlio o un parente del parón o di altri proprietari di burchi. Solo il parón era iscritto all’apposita corporazione dei burchieri e almeno fino al XVI secolo ad ogni associato era concessa la proprietà di una sola imbarcazione. Nei secoli seguenti il limite decadde progressivamente: nel XVII secolo venne portato a due fino a scomparire del tutto.

Anche per i burchi la navigazione atesina nascondeva numerose insidie e pericoli che richiedevano quindi gli occhi attenti e vigili di marinai allenati da una lunga frequentazione con i fondali del fiume e il suo corso tortuoso.

La presenza di banchi di sabbia, golene, piccole isole emerse e depositi di detriti che variavano rapidamente e in continuazione la loro posizione e le loro dimensioni a causa della tumultuosa corrente dell’Adige, rendeva oltremodo rischioso la conduzione dei burchi.

Per evitare di appesantire troppo la barca con carichi eccessivi che ne avrebbero potuto rendere poco agevole le manovre in acqua su fondali particolarmente insidiosi, la linea di galleggiamento dei burchi (ma anche delle zattere) era tenuta sotto controllo dai marinai mediante apposite broche, cioè tacche di metallo fissate esternamente sullo scafo.

Nonostante le continue variazioni del fondo atesino, la competente esperienza dei burchieri era però in grado di individuare per tempo le traversìe (così definite nel gergo dei barcari), cioè quei ‘sentieri’ di corrente buona, spesso non rettilinei, che permettevano alle imbarcazioni di procedere spedite e senza incagli.